Gran Canaria, l'Europa in Africa
Ogni estate la Spagna riceve da sudovest le brezze calde e sabbiose del Lebeche, il nostro Libeccio. Se da Madrid chiedessimo un passaggio a quel vento caldo, e gli dicessimo di portarci verso l’Africa, ma oltre quei deserti da cui raccoglie le sue polveri, più a sud, oltre il Marocco, ci troveremmo di nuovo in Spagna. Di fronte alle coste del Sahara Occidentale si trovano alcune isolette che sono Europa, ma si trovano in Africa, e di cui una è ormai famosa perché in questo disordine ha deciso che non le bastavano due continenti, ne voleva cinque: Gran Canaria, una delle più intriganti dell'arcipelago!
Quando nel quindicesimo secolo gli uomini del Regno di Castiglia e León giunsero a Gran Canaria si dissero come in fondo avessero sempre saputo che l’isola fosse un loro territorio. Anche se la popolazione locale Guanci non sembrò affatto convinta, gli spagnoli insistettero circa un secolo, finché anche i nativi non furono assolutamente d’accordo sulla questione, ovvero fino a quando non ne rimase quasi nessuno.
Allo sterminio della popolazione seguì quello degli alberi, in particolare degli alberi del Drago, considerati sacri dai nativi Guanci, e di cui oggi restano pochi esemplari. Così, l’entroterra montuoso dell’isola appare ormai piuttosto brullo, a eccezione delle verdeggianti pinete attorno al comune di Tejeda, il perno dell’isola, da cui la raggiera di barrancos raggiunge la costa, e del parco di Tamadaba ad ovest, polmone verde dell’isola e vittima di un terribile incendio nell’agosto 2019. Nonostante le centinaia di alberi perduti, la riserva resiste come uno dei paesaggi più belli di tutta Gran Canaria.
Anche la parte meridionale ha avuto i suoi flagelli, in particolare una speculazione edilizia che ne ha stravolto l’immagine: tra Maspalomas ed il caratteristico Puerto de Mogán file di resort ed hotel giganteschi hanno dilaniato il profilo della costa: un po’ come se improvvisamente si rovesciassero colate di cemento sulla costiera amalfitana. Proprio a Maspalomas si trova uno dei “cinque continenti” dell’isola, le Dune, una colonia desertica formata dal vento del Sahara.
Invece, per cercare le ultime tipiche casette di pescatori bisogna puntare a nord, nel quartiere La Vegueta del capoluogo Las Palmas, o lungo la costa, dove queste abitazioni cubiche variopinte o bianchissime contrastano le più frequenti piogge provenienti dall’Atlantico, decorando le rive settentrionali dell’isola, fino al faro di Punta de Sardina.
Se la terra è stata tormentata in tutti i modi, il cielo ed il mare restano (più o meno) illesi: per posizione geografica e scarsità di inquinamento luminoso Gran Canaria rimane uno dei migliori cieli del mondo, con stellate mozzafiato e ben due osservatori astronomici, entrambi visitabili. Dal punto più alto dell’isola, la cima di Pico de las Nieves, in estate si può osservare la Via Lattea in tutto il suo splendore: squarcia il cielo da parte a parte e la sua linea azzurrina sembra tagliare una notte africana.
Il mare resta l’altra linea di resistenza di Gran Canaria, nonostante la solita famigerata costa sud abbia cercato di trasformarlo a proprio piacimento, affondando volontariamente vari relitti per il business del “wreck diving”, come il relitto di Cermona, ormai parte integrante del fondale a largo di Mogán. Tuttavia, chiunque fosse alla ricerca di esperienze ancora più autentiche - qualsiasi cosa questo possa ormai significare - potrà trovarle nei pressi dell’aeroporto dell’isola, nella riserva marina di Arinaga, anche detta “El Cabrón”. Nonostante il soprannome vagamente bucolico la riserva è un vero e proprio paradiso marino, con un fondale lussureggiante e ricchissimo di fauna ittica. Con un pizzico di fortuna non è raro avvistare altavele, murene, mante giganti e, aumentando ancora un po’ il dosaggio di buona sorte, gli schivi e rapidissimi squali angelo.
Oltre che per le immersioni, il mare canario è la meta dei tanti surfisti che, non appena le correnti dell’Atlantico decidono di alzare il mare a sufficienza, affollano le enormi spiagge di Las Canteras e di El Confital, poco distanti dal porto di Las Palmas. È buffo come nessuno ricordi mai che proprio quello di Puerto de La Luz fu l’ultimo porto sicuro per Colombo, la sua ultima casa europea prima di partire per cambiare il mondo nel 1492. Oggi è un porto perlopiù commerciale, con una piccola porzione gradevole e turistica, e con la maggior parte delle navi in partenza che non trasporta più conquistadores, ma carichi di Plátano de Canarias. Sono le classiche banane del luogo, più piccole di quelle “comuni”, ma dolcissime: quella che ha portato le piantagioni di banani è una delle grandi trasformazioni di Gran Canaria, seppur forse la meno invasiva. In tutto l’arcipelago canario, ad eccezione dell’aridissima Fuerteventura, le particolari condizioni del suolo ne hanno favorito la coltivazione, e oggi il plátano è una delle piú importanti risorse economiche dell’isola, oltre che uno dei suoi simboli; non è affatto difficile imbattersi in una piantagione, al contrario di quello che era il precedente simbolo canario, quell’Albero del Drago per il quale ormai si ricorre ai giardini botanici.
In seicento anni, questa piccola zattera vulcanica galleggiante in mezzo all’Atlantico è stata stravolta in ogni modo, e verrebbe da chiedersi cosa abbia in serbo per lei il futuro. Eppure, nonostante i relitti che non sono relitti, i resort per i pensionati scandinavi e per gli italiani in fuga dalle tasse, nonostante le foreste bruciate e i discendenti dei Guanches persi nel tempo, se si cerca a fondo, in qualche angolo dell’isola è ancora possibile avvistare qualche Albero del Drago selvatico, assieme alle stelle della Via Lattea, assieme agli squali angelo, forse gli ultimi veri nativi dell’isola.