Idee di viaggio

Viaggio in Islanda: Pánta rei, Þetta reddast. Perché anche qui non puoi bagnarti due volte nello stesso fiume...

Alberto Montemurro

Alberto Montemurro

... soprattutto se è di lava! Vero, non trovate? Prima di iniziare, però, lasciate che ad introdurre il racconto sia questa citazione:

“A me m'ha sempre colpito questa faccenda dei quadri. Stanno su per anni, poi senza che accada nulla, ma nulla dico, fran, giù, cadono. Stanno lì attaccati al chiodo, nessuno gli fa niente, ma loro a un certo punto, fran, cadono giù, come sassi. Nel silenzio più assoluto, con tutto immobile intorno, non una mosca che vola, e loro, fran. Non c'è una ragione. Perché proprio in quell'istante? Non si sa. Fran. […] Non si capisce. È una di quelle cose che è meglio che non ci pensi, se no ci esci matto. Quando cade un quadro.” Alessandro Baricco, Novecento. Un monologo

Tra i ghiacci d'Islanda | Credit Alberto Montemurro
Tra i ghiacci d'Islanda | Credit Alberto Montemurro

Confesso: anche a me ha sempre colpito questa vecchia faccenda dei quadri, di quadri che da soli, senza chiedere nulla a nessuno, decidono di ruzzolare giù, per di più con un gran baccano. Ecco, un altro fenomeno che può vantare entrambe queste caratteristiche - la sfrontatezza di avvenire solo quando ha voglia di farlo, l’annesso chiasso infernale - è un’eruzione vulcanica. C’è una sola piccola differenza, cenere a parte: i vulcani hanno l’imperdonabile demerito di rovinare sempre la sorpresa a tutti, con piccoli e sibillini segnali guastafeste. A loro difesa si può dire che, al confronto con i quadri, nel caso dei vulcani il fattaccio è molto più spettacolare... ma erano quattro mesi che Reykjanes borbottava, quattro mesi di piccole scosse, lette dai geologi di tutta Europa come educate richieste di attenzione da parte della penisola, ormai incinta di un vulcano al settantaduemillesimo mese.

Pulcinella di mare: spettatori (inconsapevoli?) | Credit Alberto Montemurro
Pulcinella di mare: spettatori (inconsapevoli?) | Credit Alberto Montemurro
19 Marzo 2021, Islanda, ora locale 20 e 45. Boom.

Il quadro che cade è un vulcano che scoppia, erutta, cola, scorre, e cambia tutto di nuovo. Di nuovo, perché solo undici anni fa tutto il sud dell’isola era stato sconvolto dall’eruzione di un altro vulcano, l’Eyjafjallajökull (per i pigri: leggete ejafjatlajokutl), proprio quello che con la sua nube di ceneri aveva bloccato i voli di mezza Europa, catalizzando sull’Islanda un’attenzione che il governo locale ha prontamente trasformato in un formidabile volano per il turismo, stravolgendo ancora la vita dell’isola, e il suo aspetto.

In un lampo, gli islandesi si sono trasformati da pescatori a guide, in un solo decennio i visitatori sono quintuplicati, e poi, quando la bolla aveva appena iniziato a sgonfiarsi, è arrivato il Covid, di cui forse avrete sentito parlare da qualche parte. E cambiava tutto di nuovo, per l’Islanda e non solo. Per fortuna, se non per il virus, gli islandesi avevano già ottimi anticorpi per i mutamenti: non passa lustro senza che uno dei loro 130 vulcani decida che è ora di cambiare i connotati al paesaggio, il che avrà senz'altro contribuito alla forte verve creativa dei suoi abitanti - i Sigur Rós hanno deciso che bastava una sola parola per “saltare nelle pozzanghere”, hoppipolla - e alla loro innata resilienza.

L’Islanda è questo: volubile, capricciosa, un’isola adolescente ancora indecisa se vuole stare sulla placca Nordamericana o su quella Eurasiatica, col risultato che si sta samolonicamente spaccando a metà. Proprio nello spazio creato da questa separazione tettonica ribolliva il magma che ha poi formato il neonato vulcano, battezzato Fagradalsfjall per l’adiacente cima “Montagna della Bella Valle” (da fagur, “bella”, dalur, “valle”, e fjall, “montagna”), nella piana dal più infelice nome “Valle dei Castrati”, Geldingadalir - ci piace pensare in esclusivo riferimento ai celebri cavalli islandesi.

Avvicinamento al Fagradalsfjall | Credit Alberto Montemurro
Avvicinamento al Fagradalsfjall | Credit Alberto Montemurro

Purtroppo, al momento chi scrive abita molto lontano da questi formidabili luoghi dai nomi impronunciabili, in una zona molto meno dinamica del mondo, chiamata Castelli Romani: un’area che a prima vista offre alcuni fra i panorami più belli d’Italia, fra verdeggianti boschi di castagni, e laghi idilliaci su cui sono appollaiati borghi puliti e ordinati. Eppure, come una persona a prima vista stupenda, perfetta, che dopo una frequentazione quotidiana inizia a mostrare piccoli difetti che ti fanno pensare “beh, dopotutto forse non era poi così attraente come sembrava”, dopo anni passati a vivere tra le stesse case e sentieri ho imparato a conoscere il loro “sottobosco” sporco. E ho capito che quei paesini non sono impeccabili come sembrano: negli anfratti del bosco si continua a gettare spazzatura, nei vicoli si incontrano lattine e cocci di vetro, le fragole della fiera non sono locali ma importate... e via dicendo. Allo stesso modo, dopo quattro anni di assidua frequentazione, iniziavo a vedere i "mucchietti di spazzatura" dell’Islanda, identificabili con la speculazione dovuta al sempre più massiccio numero di viaggiatori, e con la personalissima sensazione di essere in procinto di esaurire quella che ritenevo un’infinita fonte di meraviglie naturali. Al solito, non stavo capendo nulla. In Islanda è impossibile inventare un’abitudine, nulla resta uguale e tutto si trasforma. D’altronde, πάντα ῥεῖ: al liceo mi hanno insegnato che se una cosa la dicevano i greci - in greco, per giunta - era senz’altro vera, signora mia.

La laguna glaciale Jökulsárlón | Credit Alberto Montemurro
La laguna glaciale Jökulsárlón | Credit Alberto Montemurro
Uno spettacolo meraviglioso e sicuro

Così, in barba alle mie previsioni di prossimo esaurimento della vena naturalistica islandese, quell'isola sorprendente che cosa fa? Talmente smargiassa, mitomane e lunatica che si iberna, si fonde, s’addensa, poi getta la lava con gran voluttà. Fiocco rosso nella penisola di Reykjanes, è nato Fagradalsfjall.

L’eruzione si è subito mostrata unica, per vari motivi: in quanto effusiva e non esplosiva, aveva tutte le carte in regola per diventare uno spettacolo meraviglioso, e allo stesso tempo sicuro. Se nelle eruzioni esplosive il magma più freddo e viscoso impedisce ai gas disciolti di “liberarsi” rapidamente, aumentando la pressione sino ad esplodere piroclasti (frammenti di lava non consolidata), lapilli e altra “roba geologica” pericolosa, nelle effusive i gas disciolti fuoriescono più facilmente, generando colate laviche meno rapide, più controllabili. In breve tempo, Il Fragadalsfjall è diventato uno spettacolo pubblico, attirando fotografi, geologi, e semplici curiosi che si sono cimentati nelle attività più grottesche, fra chi ha improvvisato grigliate laviche, matrimoni, concerti live (mozzafiato quello dell’islandesissima band Kaleo), e persino partite di pallavolo.

Come già sottolineato, la caratteristica peculiare - e più pericolosa - delle eruzioni effusive è il rilascio di gas disciolti, fra cui il biossido di zolfo, che se all’olfatto può apparire non troppo diverso dal tipico odore dei fuochi d’artificio, risulta particolarmente tossico per l’organismo. Se l’eruzione dovesse espandersi, potrebbe essere una seria minaccia per le tremila anime del vicino paesino di Grindavík. Tuttavia, ben visibile anche dalla capitale Reykjavík, la nube rossa che da mesi domina la penisola di Reykjanes continua ad attirare visitatori, e gli islandesi non sembrano preoccuparsi troppo delle possibili velleità assassine del loro nuovo spettacolo naturale. Questa attitudine islandese è sintetizzata dal vecchio modo di dire: Þetta reddast. Intraducibile in italiano. Ciò a cui si avvicina di più è “alla fine le cose si aggiusteranno”, o “andrà tutto bene”, ma con una sfumatura di malinconia che avvolge la speranza per il futuro e con la consapevolezza di non avere alcun controllo sui fenomeni della natura. Non è poi passato tanto tempo dall'Islanda di pescatori e pastori, e ancora oggi nei mesi invernali ampie porzioni dell’isola restano isolate, a seconda della neve e delle voglie del clima islandese, sempre pronto a far capricci.

In un certo senso, è la terra che ci meritiamo, in questo periodo pieno di sorprese, in un’estate dove abbiamo oscillato fra l’esaltazione di vaccini e la depressione dell’incertezza per il futuro, con noi millennials ormai gioventù solo percepita, bruciata come i boschi della Sardegna. Ma ora gli astri della spensieratezza estiva si sono disallineati, settembre e l'autunno ci restituiscono le nostre incertezze, ed è facile tornare a specchiarsi in un’isola immatura, come noi ancora incerta su cosa fare da grande, che nemmeno da vecchi si sa, come direbbe qualcuno. D’altronde, se non abbiamo molte certezze per il futuro è anche vero che alcune cose restano sempre uguali a sé stesse, per fortuna. Come alcuni quadri più testardi dei loro chiodi arrugginiti, come alcuni angoli dei boschi fuori Roma, o come il vecchio, cocciuto, ottimista spirito islandese: Þetta reddast.

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